Una conseguenza diretta della proroga dello smart working sino a fine anno è l’estensione del bonus smart working che è stato incrementato del 50 per cento, sino a 516 euro. Si tratta a tutt'oggi di un benefit poco conosciuto, ma che appariva già nelle prime stesure del Decreto Sostegni che ha avuto varie riconversioni, vediamo dunque in cosa consiste e come si fa a richiederlo.
Lo strumento innovativo è a tutti gli effetti da considerare un intervento di welfare aziendale, il fringe benefit prevede infatti un’esenzione fiscale per l’acquisto da parte dei dipendenti di attrezzature utili a garantire l’esecuzione del lavoro con idonea qualità in modalità agile che molto spesso, (ma non esclusivamente) si traduce in lavoro da casa. Inizialmente il contributo ammontava a 258 euro, ma ora come abbiamo detto l’importo è stato innalzato a 516 euro e spetta potenzialmente all’intera platea di coloro che ricoprono mansioni da lavoro dipendente per aziende che riconoscono i fringe benefits e potrà essere utilizzato dai professionisti per allestire il proprio ufficio a casa, o dalla sede di lavoro remoto, acquistando però tramite piattaforme apposite.
Dovrà rivolgersi direttamente al proprio datore di lavoro chiedendo di poter aver accesso al bonus, una volta accordata la richiesta si passerà all’effettuazione dell’ordine da parte dell’ufficio che concorderà con le società di welfare aziendale l’acquisto di arredamenti ergonomici. Gli articoli da richiedere sono soprattutto scrivanie, illuminazione adatta ad ambienti di lavoro, sedie ergonomiche che permettono di assumere posizioni corrette per l’attivazione o l’implementazione della postazione ufficio in casa.
Gli operatori del settore sperano che ora si allarghi il numero di aziende produttrici che stringono convenzioni con le piattaforme di welfare per inserire i propri prodotti, anche in considerazione del plafond di spesa raddoppiato e che potrebbe anche essere rifinanziato per il 2022.
Avere una postazione adeguata a molte ore di smart working è un’esigenza concreta, la Fondazione Studi consulenti del lavoro recentemente ha reso pubblica una indagine dalla quale emerge che sono 2,6 milioni di lavoratori in remoto, prevalentemente da casa lamentano problemi di salute legati alle postazioni domestiche, spesso improvvisate o ricavate in ambienti poco indicati per trasferire la vita da ufficio. La problematica riguarda soprattutto quelle figure professionali tenute a rispettare lunghi orari di lavoro, del tutto simili a quelli richiesti dal lavoro in presenza.
Assufficio che rappresenta le industrie produttrici dell’arredo per gli uffici e la didattica aveva già promosso una campagna di sensibilizzazione per individuare prodotti utili al lavoro a distanza, come sedute e scrivanie adatte ad entrare in appartamenti, quindi riducendo le dimensioni rispettando le scelte di arredo casalingo, ma al contempo in grado di accogliere le esigenze di ergonomia e salubrità.
Resta invece in un vuoto legislativo la parte che riguarda i costi di connessione ad internet per le funzioni lavorative, la mancanza di una norma apposita tiene fuori dalla possibilità di coprire del tutto o parzialmente la connettività. Ma se il datore di lavoro vuole contribuire a favore del dipendente, questo è stato reso possibile da una circolare dell’Agenzia delle Entrate che a fine maggio di quest’anno ha stabilito che le spese legate ad internet sono deducibili ai fini IRES, quindi l’azienda volendo può affrontare la spesa al posto del dipendente.