Cartelle esattoriali: come controllare possibili errori

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Cartelle esattoriali come controllare possibili errori

Quando riceviamo una cartella esattoriale può darsi che ci siano degli errori, possono essere vizi formali, può capitare che ci sia un errore di persona, che i calcoli non siano corretti, che venga richiesta una cifra che già è stata saldata. Come sappiamo bene il fisco italiano vuole che il primo onere della prova sia a carico del cittadino e dunque bisogna conoscere bene quali sono i diritti che si possono esercitare a propria tutela. Vediamo nello specifico come controllare possibili errori o inesattezze che giustificano una richiesta di annullamento completo o parziale, considerato che il ventaglio di possibilità è ampio: le cartelle esattoriali possono essere relative a debiti contratti con il fisco, alle multe non pagate, al mancato pagamento di imposte dello Stato, della Regione, del Comune, e tasse come il bollo auto.

Il ricorso all’autotutela per annullare una cartella

Occorre partire dalla considerazione che l’Agenzia delle Entrate notifica un mancato pagamento anche se il suo contenuto nel merito presenta dei potenziali errori, deve farlo per legge. Per esempio: se il comune chiede all'Agenzia delle entrate di riscuotere la tassa sui rifiuti e il diretto interessato è esentato dal pagarla, o deve pagare solo una parte, dovrà chiedere al comune di annullare la richiesta in tutto o in parte. Se sappiamo che una richiesta di regolarizzazione formalizzata dall’Agenzia delle Entrate non è dovuta o comunque scorretta nella sua formulazione, abbiamo a disposizione il dispositivo dell’autotutela, vediamo di che si tratta. L’istanza dell’autotutela può essere fatta in carta semplice e presentata di persona all’ufficio interessato o inviata tramite raccomandata, o via email, meglio se PEC. Esiste un altro metodo che è l’uso del modulo di istanza in autotutela su internet. Con questo strumento si chiede all’ente pubblico creditore di correggere il proprio errore, se l’ente annullerà in tutto o in parte il debito, invierà all’AdE lo “sgravio”, ovvero l’ordine di annullare il debito, l’Agenzia in questo modo cancellerà quel tributo dalla cartella. In caso contrario l’agenzia è obbligata a procedere alla riscossione. Non c’è un termine per presentare la domanda, ma l’Agenzia delle entrate consiglia di agire tempestivamente. Inoltre, in alcuni casi specifici previsti dalla legge, si può anche chiedere direttamente all’Agenzia la sospensione della cartella e attendere l’esito delle verifiche dell’ente creditore.

IL RICORSO AL GIUDICE

Il ricorso all’autorità giudiziaria competente è possibile per chiedere di annullare del tutto o in parte il debito in cartella. Nel documento che si deciderà di impugnare (per esempio la cartella) devono comparire le informazioni su come effettuare il ricorso e a quale giudice inviarlo. Se il giudice ci darà ragione, accogliendo il ricorso, l’ente dovrà annullare il debito. Tuttavia capita a volte che l’ente non si adegui alla decisione del giudice. In questo caso, si possono far valere le proprie ragioni ricorrendo direttamente al giudice e iniziare il cosiddetto “giudizio di ottemperanza”. Si tratta di un ulteriore ricorso per ottenere che l’ente applichi quanto già deciso da altro giudice. Per segnalare qualsiasi irregolarità riscontrata è possibile comunque rivolgersi al Garante del contribuente con richiesta scritta in carta libera, specificando i propri dati anagrafici e il codice fiscale. È possibile richiedere uno sgravio totale o parziale: nel primo caso il tributo viene annullato per intero, nel secondo caso viene annullato solo in parte. Al provvedimento di sgravio, cioè di annullamento, del tributo dovrà seguire il rimborso, totale o parziale, delle somme eventualmente già pagate.

LE NOTIFICHE NON CORRETTE

Per tutti coloro che hanno fornito il proprio indirizzo ormai anche le cartelle esattoriali viaggiano in posta elettronica certificata, ma per essere valide le PEC che ci arrivano devono essere inviate da indirizzi del Fisco registrati negli archivi pubblici. E’ accaduto in alcuni casi che alcuni invii siano partiti da indirizzi non registrati, ebbene questi atti sono da considerare nulli, per sapere se l’indirizzo di partenza della PEC è corretto bisogna consultare sul registro dell’Agenzia per l’Italia Digitale l'indice PA, solo la mail inviata da protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it è senz’altro giusta, le altre in teoria andrebbero verificate. Va invece considerata un’ingenuità da parte del contribuente non aprire la PEC ricevuta, l’equivalente del vecchio non ritirare la raccomandata dal postino, per il semplice motivo che non aver aperto la mail non vale come giustificazione per non aver pagato. Discorso diverso è se l’indirizzo mail dove è stato inviato l’atto è diverso da quello comunicato dal contribuente, in quel caso si può impugnare il provvedimento.

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