La morsa dell’inflazione ha fatto mettere il turbo alle private label, i prodotti a marchio delle catene dei supermercati che ormai inondano gli scaffali della grande distribuzione. Il fenomeno non è nuovo, ma il livello della sua diffusione sì, e nel tempo il fattore convenienza non ha soppiantato quello della qualità, semmai è vero il contrario. Facciamo allora il punto della situazione per capire effettivamente come risparmiare sulla spesa con i prodotti private label.
Per noi che facciamo la spesa, la scommessa è sempre quella di tenere insieme risparmio e qualità, ma ormai nei supermercati è talmente alta la concorrenza che non è più strano nemmeno trovare il marchio noto ad un prezzo più basso della private label. Per il portafoglio tenere sempre d’occhio anche la quantità o peso della merce, da tempo si è affermato il fenomeno della shrink inflation che vuol dire prezzo identico ma meno prodotto nella confezione, una pratica sempre più diffusa che non risparmia nessuno: il sacchetto di patatine più leggero può essere della marca nota, come di quella della catena di supermercato, con questo escamotage si ha l’impressione di spendere uguale o anche di meno. Più grave se ciò avviene a scapito delle materie prime e qui ne va di mezzo quello che mangiamo, tanto che le associazioni dei consumatori hanno presentato un esposto chiedendo di aprire indagini sulla prassi di ‘alleggerire’ le confezioni. E ora che il consumatore è diventato più consapevole un altro terreno di confronto sono le linee bio, premium e sostenibili. Su questo segmento quasi sempre si risparmia con l’etichetta privata e generalmente la qualità è molto simile a quella delle proposte dei grandi marchi.
L’avanzata delle private label è imponente, non è un fatto di sensazioni, basti pensare che Coop in primavera ha presentato un piano che da qui alla fine del 2023 la porterà ad avere in vendita in media il 50 per cento di prodotti a marchio proprio. Una rete di fornitori che da 500 salirà a 750 aziende che faranno di tutto, con un raddoppio di fatturato da 3 a 6 miliardi di euro. Coop, del resto, ha una consolidata tradizione di prodotti della sua insegna, contrassegnati anche da una reputazione di buona qualità che ha implementato nel tempo.
C’è poi il caso dei discount, dove l’incidenza di etichette interne è altissima da sempre, ma in questo caso è esattamente quello che si aspettano i consumatori e per i discount il prodotto interno è praticamente un marchio di fabbrica. Sotto attacco i marchi tradizionali vedono assottigliarsi i loro margini e offrono il fianco scoperto dei loro investimenti in pubblicità e innovazione alla concorrenza delle private labels che non inventano niente di nuovo, ma copiano soltanto. Ma anche questo non è sempre vero, ci sono casi in cui un marchio privato si affida agli stessi produttori dei grandi marchi, la cui capacità produttiva va in eccesso: tutto il residuo viene venduto ai distributori interessati come “prodotti bianchi”, ai quali verrà apposto il marchio solo successivamente.
In questi mesi di impennata dell’inflazione i responsabili delle catene della grande distribuzione sostengono che la politica delle private label è un argine all’aumento vertiginoso dei prezzi. Nel 2022 il rincaro dei beni alimentari è tra il 10 e il 12 per cento, ma alla Coop sostengono che con la loro strategia alla cassa il cliente ne ha scontato solo il 2 per cento e alla Conad aggiungono che con la politica dei prezzi “bassi e fissi” che interessa in percentuale più i prodotti private label, una famiglia risparmia 1.500 euro l’anno.